Cultura - Chiese
Chiesa di Santa Maria del Degnago
Ai piedi delle colline di Fumane di Valpolicella, il tempo ci ha conservato, nonostante l'incuria degli uomini, un monumento d'arte minore, noto soltanto agli specialisti, ma che meriterebbe invece d’essere meglio conosciuto anche da una più vasta schiera d’ammiratori del bello: si tratta della chiesetta di S.Maria del Degnano, già dipendente dal Monastero di S. Zeno in Verona e che può vantare origini almeno romaniche, essendo già ricordata nel 1163. Non sappiamo se a sua volta l'edificio romanico abbia sostituito una precedente chiesetta, d’origine magari longobarda o carolingia annessa ad un "castrum Monticoli" di cui è cenno nei documenti. Gli archivi a questo proposito sono muti. Se esistita, essa dovrebbe essere rimasta in ogni modo seriamente danneggiata dal terremoto del 1117, del quale sono ampi cenni nelle cronache veronesi, e che provocò la distruzione, totale o parziale, di numerosissime chiese della città e del contado. Ma anche di romanico oggi qui sussiste ben poco perché la chiesetta venne pressoché completamente rifatta nel secolo XV: a quest'epoca va, infatti, stilisticamente assegnata l'architettura interna. Si tratta di un vano ad una sola navata, senza transetto, formato, nella sua porzione plebana, da due campate quadrangolari voltate a crociera, alle quali s’innestano un presbiterio quadrangolare, pure voltato a crociera, ed un'abside che è un mezzo decagono, con catino a spicchi. La facciata è a capanna con porta rettangolare e lunetta con resti d’affresco. Sotto la linea di gronda, tanto in facciata come sui fianchi e nell'abside, corre una cornice di mattoni a denti di sega, ripetuta anche nella casa padronale vicina; probabilmente coeva alla chiesa. Le ampie finestre monofore che si aprono sul fianco di mezzodì in corrispondenza della mezz’aria delle campate della chiesa plebana e del presbiterio, hanno contorni in marmo che risalgono forse ai restauri seicenteschi del sacello, quando esso fu interamente affrescato dal pennello di Paolo Ligozzi. Anche il campanile, basso e massiccio, appoggiato alla chiesa sul fianco occidentale, dovrebbe essere stato risistemato alla fine del secolo XV su basi forse romaniche. Lo stesso anche per la cella campanaria, senza pina, nella quale si aprono quattro bifore a pilastrini; questi sono ricavati da due colonne trecentesche provenienti da qualche edificio distrutto e che furono, all'epoca del loro reimpiego, tagliate a mezzo, onde le due basi potessero, anch’esse, fungere da capitelli. La decorazione della chiesetta di Fumane, una sorta di "biblia pauperum" che narra le glorie di Maria, si svolge nelle vele del soffitto e su tutte le pareti disponibili. Nel soffitto, fra «grottesche" e cornucopie, sono dipinti diciassette simboli, con relative scritte tratte dalle Sacre Scritture, esaltanti le virtù mariane, con una ben congegnata apologia non priva di efficacia. Lungo le pareti, nei sei lunettoni, sono altrettante storie della vita di Maria, così disposte (iniziando "a cornu epistulae" del presbiterio e girando quindi in senso orario):- La Nascita della Vergine;
- Sua presentazione al tempio;
- L'Annunciazione;
- La visita a S. Elisabetta;
- La nascita di Gesù;
- La "Dormitio Virginis".
San Marziale(Breonio)
Nel centro di Breonio – nell’alta valle di Fumane – una chiesa del Quattrocento fa bella mostra di sé: è la chiesa, un tempo officiata come parrocchiale e dedicata a San Marziale, qui esistente con ogni probabilità almeno dal secolo XII, anche se in versione architettonica diversa dall'attuale. Un documento del 1268 la cita espressamente, con il suo titolo di San Marziale, il santo che, secondo la tradizione, sarebbe stato mandato da San Pietro a convertire l'Aquitania. Ad una sola navata, coperta da un tetto a cavalletti, ma con un presbiterio voltato a crociera, la vecchia chiesa di San Marziale di Breonio fu poi riedificata nella seconda metà del XV secolo. Il vescovo Ermolao Barbaro, nella sua visita del 16 maggio 1454, la trova ben tenuta: provvista di un bel tabernacolo, anche se disadorno, del fonte battesimale, del campanile, di sacra suppellettile. Mentre la stessa visita annota la presenza di un rettore, e da analoga visita, fatta il 7 ottobre 1454 a San Floriano, sappiamo che la chiesa di San Marziale di Breonio dipende da quella pieve. Fra queste gli affreschi scoperti nel 1964, quando il cattivo stato di altri affreschi nella volta e nelle lunette della cappella del presbiterio portò ad eseguire, all'interno di San Marziale, alcuni lavori. Si tratta di dipinti parietali che Maria Teresa Cuppini assegnò a Francesco Morone, e di altri riferiti invece - sempre dalla Cuppini - a Domenico Brusasorzi. I riquadri votivi di cui si ravvisa la mano di Francesco Morone raffigurano rispettivamente Sant'Agapito (1510), San Marziale (1513), San Giovanni Battista (1513) e San Cristoforo tra i Santi Rocco e Sebastiano (1513): gli anni di esecuzione di tali opere sono segnati in nitide didascalie e con i nomi dei committenti. Si ravvisa invece la mano di Domenico Brusasorzi in quelli con le immagini dei Santi Silvestro e Gregorio e della Pietà. La chiesa conserva anche, sull’altare maggiore, un interessante polittico con cornice lignea a due ordini, dei primi decenni del ‘500. Nella predella che fa da base del polittico sono tre gustose formelle dipinte da riferirsi, assai probabilmente, ad episodi della vita di San Marziale. Fra le tre tavolette e ai lati di queste, nei dadi che fanno da base alle lesene del primo ordine sono raffigurati i quattro dottori della Chiesa, mentre nelle metope della trabeazione, sempre del primo ordine, sono dipinti i simboli dei quattro evangelisti. Il primo ordine del polittico è costituito invece da tre nicchie affiancate che accolgono, con quella di San Marziale, statue lignee di San Giovanni Battista e di Sant'Antonio Abate, come spiegano le scritte, in eleganti caratteri maiuscoli romani, nel fregio soprastante. Il secondo ordine accoglie infine tre tavole a stucco in bassorilievo rispettivamente raffiguranti un incontro fra due personaggi (un uomo e una donna), la Nascita di Cristo e la Fuga in Egitto. Corona il tutto un timpano entro il quale è dipinto l'Eterno Padre e agli angoli del quale sono due angeli lignei. Come autore dei dipinti del monumentale paliotto ligneo si potrebbe avanzare il nome di Nicola Giolfino anche se la Cuppini - almeno relativamente alle predelle peraltro assai guaste, annerite e lacunose - preferisce un'attribuzione a Domenico Brusasorzi in quanto passibili di riscontri persuasivi ed immediati con le Storie bibliche affrescate da costui nella villa Del Bene a Volargne. La parrocchiale di San Marziale - quella di cui ci stiamo occupando fu poi abbandonata quando nel secolo XVIII si costruì, poco fuori dell’abitato e sulla strada che conduce a Molina, una più vasta chiesa, sempre al servizio di quel grosso centro demico che era allora, nell'alta Valpolicella, Breonio. Ma fortunatamente la vecchia cappella non venne distrutta, sicché può ancora rappresentare un peculiare aspetto del ricco panorama artistico della vallata di Fumane.
Pieve di San Floriano
Allo sbocco della valle di Marano, nel cuore della Valpolicella, è la pieve di San Floriano. Si tratta di una delle più belle chiese romaniche di tutto il Veronese, nata nell'ambito di un cimitero pagano, come dimostrerebbero i molti anche consistenti reimpieghi di marmi e pietre romane, fra cui due cippi funebri di grandi dimensioni, mentre altri resti d’are funerarie sono anche allineate nel vialetto a fianco della chiesa, verso la strada della Valpolicella. La chiesa attuale è quella costruita nel secolo XII ma due privilegi berengariani dell'anno 905 già qui menzionano una pieve: nel primo la chiesa è nominata con «data topica» essendo il diploma emanato iuxta plebem Sancti Floriani (presso la pieve di San Floriano), mentre nel secondo si nominano alcuni beni ubicati nella valle Provinianensis non longe ab ecclesia Beati Floriani (nella valle Provinianense, non lontano dalla chiesa di San Floriano). Altri documenti ci ricordano la pieve nei secoli XI e XII ed anche attraverso di essi veniamo a conoscere che la sua giurisdizione ecclesiastica si estendeva pressappoco sui territori attualmente delimitati dai comuni di Marano, di S. Pietro Incariano e di Fumane (porzione sud) e di Pescantina, vale a dire su tutta la Valpolicella centrale, dominando ad est la pieve di Negrar e ad ovest quella di San Giorgio. La chiesa ostenta anzitutto al visitatore una facciata realizzata interamente in tufo e sostanzialmente ancora integra (solo l'occhio centrale e le due finestre laterali vi sono state aperte successivamente). Tripartita da due lesene triangolari che denunciano l’interna divisione in tre navate, ostenta a coronamento, sia del corpo centrale sia dei due laterali, un fregio di denti di sega sostenuto da archetti rampanti con peducci gradinati e concluso da una cornicetta aggettante. AI centro della facciata è poi il bel portale con gli stipiti e l’architrave in marmo rosa, difeso da un protiro pensile di grande eleganza. L'interno è a tre navate, divise da pilastri alternati a colonne, che si concludevano con ogni probabilità in tre absidi, com’è ancora riscontrabile in diverse chiese veronesi della stessa epoca e della stessa tipologia. Ma le absidi originali più non esistono, essendo state in seguito distrutte per costruire le attuali. Esiste invece al disotto della volta a botte della nave maggiore e delle volte a crociera delle navi minori, pure successive alla fabbrica romanica, il tetto a cavalletti che, più volte rimaneggiato, conserva ancora molte delle travature originali. Nella pur mutilata chiesa di San Floriano per primo l’Arslan vide, e giustamente, un'eco chiarissima del duomo veronese, giudicandola "raffinata opera che nello slancio scarsamente accentuato delle facciate, negli intagli dei lapidei che l'adornarono, in quello che dovette essere il taglio della parete absidale, accusava e tuttora accusa, il grado e il momento della grande chiesa cittadina: e la cui estrema finitezza ben si accorda col civilissimo paesaggio che la circonda". L'interno della chiesa era stato trasformato in più riprese fino al 1743, svisando via via radicalmente il suo carattere romanico, anche scalpellando o sostituendo gli originali capitelli delle colonne: solo lavori eseguiti dagli ultimi settant’anni hanno messo a nudo quanto era opportuno recuperare della fabbrica romanica: apparvero così le ghiere delle arcate composte di conci di calcare più o meno alternati in un gioco di rosa e di rossi, i sottarchi con relative decorazioni affrescate, le facce interne dei pilastri, nonché una decorazione di clipei rossi al sommo delle arcate e tra di esse, che si ripete anche oltre la volta barocca, nella parete sotto le incavallature. La pieve romanica doveva essere adorna anche di molti elementi decorativi, parte dei quali reimpiegati nel rifacimento quattrocentesco della fiancata verso la canonica e purtroppo finiti poi quasi tutti, nel secolo XVII, col rimanere nascosti fra le volte e il tetto del chiostro. Questi fregi superstiti sarebbero dunque i resti di una complessa decorazione che correva lungo tutta la fiancata, con motivi vegetali, animali e persino con scene tratte dalle Sacre Scritture, com’è tipico di tutto il romanico ed in particolare del romanico veronese. Una descrizione della pieve di S. Floriano risulterebbe incompleta se si dimenticasse di accennare alla poderosa torre campanaria posta sul lato nord della chiesa, divisa al centro d’ogni lato da una lunga lesena e scompartita a metà e verso l’alto da due file d’archetti pensili. Mentre il basamento è in pietra (con molti elementi romani di recupero), la canna della torre prosegue a file alternate di conci di tufo e cotto per terminare con il solo cotto alla cella campanaria, aperta in bifore separate da colonnette di pietra. Superfluo ricordare che anche questo campanile - con altri della Valpolicella, come quelli di San Giorgio, di S. Martino e di S. Vito di Negrar - richiama, nella sua impostazione, il campanile della veronese basilica di San Zeno.
Pieve di San Giorgio
E' certamente il monumento sacro più importante e più illustre della Valpolicella; per qualche studioso è anche la chiesa più antica del Veronese, come indicano la sua primitiva orientazione (la facciata a levante) ed il ciborio scolpito da maestro Orso, ritenuto dell'anno 712, al tempo del re Liutprando. E' a tre navate chiuse a oriente da tre absidi, mentre ad occidente, nell'attuale facciata, una sola abside corrisponde alla navata centrale, ed in essa è aperta una porta neogotica. Nell'interno le arcate, piuttosto larghe e basse, tutte d'uguale altezza, sono rette sul lato settentrionale da quattro pilastri di fila, seguiti da una colonna, da un pilastro e da un'altra colonna; sul lato meridionale da quattro pilastri di fila e da tre colonne. Questo antichissimo monumento dalla pianta assai rara, è oggetto costante dell'attenzione degli studiosi che però sono discordi nella sua datazione (VII o VIII secolo, in piena epoca barbarica), a causa della quasi totale assenza di elementi decorativi con precisi orientamenti di stile. E' comunque certo che è sorto sul posto di una precedente costruzione barbarica e di un ancor più antico edificio pagano. Alcuni noti frammenti trovati a San Giorgio e pochi elementi architettonici ed epigrafi raccolti, rappresentano purtroppo le uniche testimonianze della civiltà degli Arusnati, dei loro templi e delle loro abitazioni. In compenso il celebre ciborio di San Giorgio - o meglio, i frammenti che ci sono pervenuti - rappresenta l'unico monumento longobardo del Veronese; è stato scomposto, ed i suoi resti sono stati ricostruiti in epoche successive, e ricollocati nella attuale posizione in occasione del restauro del 1924 ad opera di Alessandro Da Lisca; in precedenza, Scipione Maffei portò due colonnine ed altro materiale, nel museo lapidario di Verona che stava costituendo. La pieve di San Giorgio ha conservato un ruolo guida per tutta la zona, fino al XV secolo, perché la popolazione si era via via concentrata ai piedi del colle (a Sant'Ambrogio).
S.Marco al Pozzo a Valgatara
E’ una delle molte chiesette romantiche della Valpolicella nascoste fra i campi e le corti: venendo da Verona e da San Floriano se ne vede il campaniletto a punta guardando sulla sinistra all’ingresso del paese, poco prima del cartello stradale di Valgatara e si arriva in poco piu’ di 100 metri. In mezzo a un prato , occupato fino a duecento anni fa dal cimitero, si innalza la stessa struttura di sette secoli fa, la facciata a capanna, il campaniletto. La chiesa e’ stata recentemente restaurata dal comune di Marano, che da qualche anno vi organizza nei giovedi’ di Settembre un ciclo di concerti dedicati ai quartetti. La chiesetta e’ piccola, in mezzo a un prato verde, vegliata da un campanile non molto alto ma proporzionato, resa preziosa da un affresco all’esterno e da alcuni affreschi all’interno. All’interno della chiesa trecentesca il comune di Marano che ha recentemente restaurato la chiesetta, organizza ogni giovedi di settembre un ciclo di concerti dedicati ai Quartetti, un appuntamento con la buona musica di camera. I primi due concerti saranno tenuti dal Quartetto Chagall e il Quartetto Xenakis, sono affermati complessi che eseguono musiche di Haydn, Shostakovih e Malipiero il primo di Malipiero, Mendelsshon e Brahms il secondo. Gli ultimi due concerti saranno tenuti dal Quintetto di Rovereto ed eseguiranno l’integrale dei Quintetti di Mozart. Sono poche le incisioni di tutti i Quintetti di Mozart e quindi si tratta di un’occasione d non perdere. L’ unico problema, che si e’ manifestato negli ultimi anni, e’ dato dalle dimensioni della chiesa: a volte chi non arriva puntuale rischia di rimanere fuori. Si ascolta bene lo stesso anche all’esterno.